E’ il titolo di una delle più famose canzoni di Riccardo Cocciante, che il cantautore di origine vietnamita portò alla ribalta nel lontano 1998. L’analogia con l’attuale squadra gialloblù è presto fatta. La compagine di Fabio Grosso, a detta di molti addetti ai lavori viene indicata come una delle compagini meglio attrezzate per il salto di categoria. Il campo, invece, sembra restituire un'immagine diversa ovvero quella di una squadra bella sulla carta ma incapace di mostrare in tutta la sua pienezza quel carattere che dovrebbe avere una formazione che vuole raggiungere la serie A.
Il campionato cadetto è un torneo molto complicato dove il bel gioco è costretto, spesso, a lasciare spazio anche alla determinazione, al carattere e all’ardore agonistico. Tutte doti che non compensano certo l’eventuale mancanza di qualità ma sono parte integrante della forza di una squadra, senza le quali qualsiasi risultato sportivo rischia di rimanere precluso. Fino ad ora riguardo a queste peculiarità s’è visto meno di quanto era lecito attendersi. Tra le mura amiche i gialloblù raramente sono stati in grado di imporre ritmo e gioco, concedendo più volte all’avversario di turno di uscire dal terreno del Bentegodi con qualche punto in mano, senza dover sudare le cosiddette “sette camicie”. Lontano da casa non è andata tanto meglio, almeno sino ad ora. Solo due vittorie - oltre a quella a tavolino di Cosenza - intervallate da qualche pareggio e da quattro sconfitte, senza mai dare l’impressione di avere la capacità di mostrare sul campo quello che si sente dire a parole. Una squadra alla quale manca l’anima, intesa come quella forza interiore che consente ai contendenti di spingersi con mente e corpo oltre l’ostacolo per raggiungere l’obiettivo.
Le responsabilità ? Di tutti, sicuramente, nessuno escluso. Dalla società ai giocatori fino a chi li mette in campo, ovverosia l’allenatore. Di Fabio Grosso, arrivato sulla panchina gialloblù reduce dall’esperienza in chiaroscuro di Bari, si è detto tutto e il contrario di tutto. L’ex campione del mondo è un tecnico sicuramente preparato - tra i migliori del suo corso a Coverciano - dai toni molto educati e, a volte, sin troppo diplomatici. Una caratteristica mostrata, se vogliamo, anche quando calcava i campi di gioco con la divisa da giocatore
La squadra, almeno sotto il profilo caratteriale, è spesso lo specchio del proprio allenatore e tale aspetto potrebbe essere uno dei motivi per i quali l’ardore mostrato dai suoi giocatori si mantiene spesso appena al di sotto del cosiddetto minimo sindacale. Secondo molti un altro allenatore al suo posto, con l’attuale organico a disposizione, sarebbe in grado di vincere a mani basse. Paradossalmente lo stesso Brescia, il cui organico è decisamente inferiore a quello gialloblù, dopo l’arrivo di Corini al posto dell’inesperto Suazo ha letteralmente cambiato marcia, scalando le varie posizioni sino ad arrivare alla testa della classifica. Si tratta, tuttavia, di un’equazione non perfetta, dove il risultato finale non è sempre lo stesso.
Nel calcio, però, come in molte altre discipline sportive e non solo, la cosiddetta riprova non esiste quindi inutile farsi distrarre da simili voli pindarici. Anche perchè, dato il silenzio quasi assordante di Maurizio Setti, il sentiment che traspare dalle dichiarazioni di D’Amico, al momento unica voce “parlante”, non lascia intravedere all’orizzonte nulla di nuovo in tal senso. Il mercato qualcosa ha fatto ma senza sparigliare più di tanto le carte. Anzi, forse si poteva fare di più e magari meglio. Tant’è questo passa il convento e questo bisogna farsi bastare. Il resto lo dirà il campo.
Autore: Enrico Brigi / Twitter: @enrico_brigi
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