“Il biondo” per alcuni, “il tedesco” per altri, o più semplicemente Tazio, che se sei mantovano non può che essere un omaggio al mito di Nuvolari. Tazio Roversi nacque a Moglia, paesino dell’Oltrepò mantovano il 21 marzo del 1947. Biondo, tarchiato, muscolare, era in campo il classico mastino, il secondo marcatore con il 2 stampato sulla schiena, ruolo tipico di un calcio anni settanta finito in soffitta e gustabile in qualche nostalgica cineteca.
Dopo aver tirato i primi calci al suo paese, si trasferì sotto le due torri appena sedicenne. Dopo aver fatto il suo esordio in serie A l’11 aprile del 1965, la stagione 1968/1969 lo vide conquistarsi il posto da titolare fisso. Il 20 novembre del 1971 Valcareggi lo chiamò in azzurro per la sua unica presenza, un Italia-Austria finito 2-2 all’Olimpico di Roma. Pedina insostituibile, in 16 anni di militanza con la maglia rossoblù disputò qualcosa come 459 partite, bandiera (allora almeno esistevano) seconda solo al monumentale Giacomo Bulgarelli.
A 32 anni venne al Verona, appena retrocesso in serie B dopo 11 anni nella massima categoria. Stanco e amareggiato, il “Commenda” Saverio Garonzi era sul punto di cedere il testimone. Eppure la squadra affidata a Veneranda godeva di buone credenziali per tentare la risalita al primo colpo. Con Roversi arrivò anche il trentaseienne Roberto Boninsegna. Quanti duelli col "biondo" ai tempi belli, ma quello che vedemmo fu solamente una cartolina ingiallita e sbiadita del Bonimba che fu. I maggiori rinforzi furono Claudio Bencina, Giacomo Piangerelli, Adriano Fedele, Gigi Capuzzo, e due giovani di prospettiva: Emilio Oddi e Roberto Tricella. Fu un campionato dai due volti, fatto di illusione prima, e delusione poi. Dopo essere stato in lizza per la promozione, in primavera il Verona sprofondò in piena crisi al tredicesimo posto.
L’anno seguente Garonzi si fece da parte. Si ripartì da Giancarlo Cadè, l’uomo per tutte le stagioni sulla panchina gialloblù. La squadra, modesta, fece molta fatica. Se tuttavia tutti i pali colpiti da Gigi Capuzzo fossero finiti nel sacco, staremmo ora qui a scrivere un’altra storia. Ma il calcio non si fa né con i se né tantomeno con i ma, il Verona si salvò dalla serie C all’ultima giornata grazie a un sofferto pareggio a Ferrara contro la Spal. Lì si chiuse l’avventura del biondo Roversi sulle rive dell’Adige. Arcigno e grintoso marcatore, in tutta la carriera rimediò solamente due cartellini rossi.
“Il Berti Vogts de noaltri” giocò altre due stagioni a Carpi prima di appendere le scarpe al chiodo e tornare quindi a vivere laddove lo portò il cuore, a Mezzo, paesino alle porte di Bologna. Si dedicò poi al settore giovanile rossoblù dove svezzò tanti ragazzi. Non intraprese mai la carriera di allenatore, perché lui la sua Bologna non la volle mai lasciare. Conduceva una vita tranquilla tra casa e famiglia, l’esatto contrario del prototipo del calciatore che siamo abituati a vedere oggi. Un giorno gli dissero che un male carogna si era fatto largo dentro di lui. L’affrontò come faceva in campo, con coraggio e grinta. Sappiamo purtroppo come quel maledetto avversario non sia leale quanto lo era un uomo come Tazio Roversi: il 17 ottobre del 1999 se lo portò via. Ciao Tazio, i ricordi vivono. Verona-Bologna è anche la tua partita.
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