Quando incrocia per la prima volta il Verona, Mario Guidetti indossa la maglia numero 6 del Como. È domenica 22 giugno 1975, ultima giornata del campionato di serie B. In palio c'è la serie A. Ai gialloblù basta non perdere mentre i lariani devono assolutamente vincere «Sono passati quasi cinquant'anni ma ricordo bene quella partita. Noi vincemmo con due gol di Cappellini e andammo in A. Il Verona, però, ci sarebbe andato quattro giorni dopo battendo nello spareggio il Catanzaro». In quel Como, allenato da Pippo Marchioro, c'era come allenatore in seconda un certo Osvaldo Bagnoli che Guidetti avrebbe ritrovato anni dopo proprio all'Hellas. «Bagnoli lo conoscevo dai tempi del Verbania, dove era stato mio compagno di squadra prima di sedersi in panchina». Un filo ombelicale infinito quello con il "mago della Bovisa": «Mi portò con lui prima allo Solbiatese, poi al Como e, infine, proprio al Verona». A fare lo stesso percorso dalle rive del Lario a quelle dell'Adige anche Volpati e Fontolan. «Il mister ci conosceva molto bene, sapeva di poter contare su di noi a occhi chiusi. Io, peraltro, dopo Como andai prima a Vicenza e poi a Napoli. Ero reduce da tre stagioni importanti e pensavo di rimanere in Campania. Bagnoli, però, mi telefonò, esortandomi di raggiungerlo a Verona. Con il senno di poi sono contento della scelta fatta». In quelle due stagioni di A i gialloblù misero le basi per la memorabile vittoria dello scudetto. Alla fine del secondo anno, però, le strade di Guidetti e del Verona si divisero. «Bagnoli, con il quale ci davamo del tu, mi disse "Guido, rimani qui che tanto riesci comunque a ritagliarti il tuo spazio" ma io, anche se oramai quasi 34enne, ero convinto di poter giocare ancora titolare. Andai ad Ancona in C dove c'era, guarda caso, proprio Pippo Marchioro. Ma con una squadra costruita per vincere il campionato, arrivammo solo sesti. E intanto ogni domenica il Verona vinceva. Al Verona, sono rimasto molto legato, forse perchè ci ero arrivato in età matura, da giocatore già esperto e in grado di vivere meglio certe emozioni. Per la conquista di quello scudetto, non lo nascondo, festeggiai anch'io. Verona, come Como, mi sono rimaste nel cuore. Ma come, del resto, tutte le squadre dove ho giocato, lasciando sempre un buon ricordo».
Oggi il Como è tornato in serie A dopo una lunghissima assenza con una proprietà considerata la più ricca dell'intera serie A. "Per vincere, però, soprattutto nel calcio, i soldi non bastano - puntualizza - perchè occorrono altri ingredienti. Fabregas è un allenatore preparato che come dice mio figlio, che negli anni che è stato a Como lo ha conosciuto quando era arrivato a guidare la formazione Primavera, è un tecnico che "insegna calcio". A mio avviso è stato bravo a scegliere il mix giusto di giocatori, tra giovani di qualità e prospettiva ed altri più esperti. E i risultati, per ora, gli stanno dando ragione. Il Verona? Come il Como anche il Verona con Zanetti pratica un gioco discreto e ha tutte le carte in regola per fare un buon campionato. Il mio auspicio è che si salvino entrambe".
Il fermo immagine più bello della sua storia in gialloblù rimane il gol segnato in casa allo scadere che regalò la vittoria contro l'Udinese: «Eravamo alla fine - ricorda - Di Gennaro mi toccò corto il pallone e io feci partire un sinistro potente che andò dritto all'incrocio, facendo esplodere il Bentegodi. Nei miei ricordi c'è anche l'intervista senza filtri a fine partita, direttamente in campo, con il povero Giampiero Galeazzi, mentre tutti noi festeggiavamo». Un'altra immagine indelebile, di un calcio che non c'è più.
Autore: Enrico Brigi / Twitter: @enrico_brigi
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