Gattuso ieri l’ha definito «un dieci atipico». Sottigliezze, molto probabilmente, agli occhi dei tifosi. Perché i tifosi quando lasciano lo stadio di solito parlano a voce alta e il responso è grossomodo lo stesso: forse, finalmente, il Milan ha trovato un numero 10. Tipico o atipico, non è questo il succo del discorso. Il succo è che dopo Boateng, ma soprattutto Honda, la gente rossonera voleva che quella maglia indossata da Liedholm, Rivera, Rui Costa e Seedorf - giusto per citare i primi che ci vengono in mente, la lista rossonera è lunga così - tornasse ad appartenere al club della raffinatezza. Della fantasia. E visto che il calcio moderno lo pretende, anche del sacrificio. Hakan Calhanoglu riesce a mettere insieme tutte queste cose. Il problema magari è che non riesce a farlo per tutta la partita. Anzi, a volte non ce la fa nemmeno per un tempo. Ma quando l’interruttore è su «on», è spettacolo.
Nei primi venti minuti non è stato un giocatore, ma un campo magnetico. Finiva tutto fra i suoi piedi e quei piedi si sono esibiti ad alto livello: scambi, sovrapposizioni, scatti, dribbling e tiri. Repertorio completo e Suso dall’altra parte spesso a guardare, perché Hakan si infilava dappertutto.
A PENNELLO Mezzo tempo di cannibalismo in cui è stato Calha-Milan. Il gol, un destro che ha accarezzato il palo, un altro che ha fatto bruciare i guanti a Silvestri. Ancora Gattuso: «Abbina qualità a quantità, è un dieci che sta a pennello nel calcio moderno. E’ un valore aggiunto per questa squadra e ha grandi margini di miglioramento, sia mentali che fisici». Rino lo adora, anche perché lo ha tirato fuori lui dal guscio, con un lavoro di tattica e di dialogo. In qualche modo lo ritiene una sua creatura, ma non va oltre i meriti che gli spettano.
Gattuso sa bene ciò che Hakan era in grado di dare e lo ripeteva spesso a dicembre, quando il Milan e il Calha erano sprofondati in un inverno che pareva senza fine: se questo ragazzo in Germania faceva dieci «box to box» a partita, vuol dire che ne è capace e devo essere io bravo a rimetterlo in condizione di farlo. Magari non siamo ancora a quel livello, ma di certo Calhanoglu è il giocatore del momento.
I numeri certificano che ha partecipato attivamente a tre gol nelle ultime due partite: due reti e l’assist di Bologna a Bonaventura. È arrivato a quota 7, compresi i due timbri in Europa League, una cifra che gli permette di eguagliare - e magari esorcizzare – la scorsa stagione a Leverkusen, dove a febbraio sparì di scena sino a fine stagione per squalifica. È anche qui che vanno ricercate le difficoltà dell’autunno. Una condizione atletica modesta, unita all’impatto con un nuovo campionato, che lo avevano frenato, intimidito e involuto.
Fino agli scrolloni di Gattuso, che l’aveva tranquillizzato e collocato all’interno di un sistema più gradito: gioca come sai fare, senza troppi pensieri. Detto e fatto. «Avevamo bisogno di questa vittoria prima della finale di Coppa Italia», ha scritto ieri il Calha sui social. E il Milan aveva bisogno di uno come lui.
Autore: Anna Vuerich
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