Che domenica. A conti fatti ci siamo sciroppati in beata divanopoli almeno 6 partite per un totale di 540 minuti di gran calcio. Sigarette, patatine, birrette, rutto libero, ostie e madonne come ai bei tempi. La domenica italiana, insomma (mica quella mielosa di Fabio Concato). La perla, Il Superclasico più ad alta tensione che la storia ricordi, vale a dire la finale di andata della Copa Libertadores tra Boca e River alla Bombonera: è finita 2-2, se ne riparlerà tra due settimane al Monumental.

Bè, in tutta onestà proprio tutto gran calcio non è stato. Purtroppo nello stomaco portiamo gli ematomi dei quattro cazzotti presi dal Verona a Brescia. Una disfatta. Dal divano avremmo voluto gettare l’asciugamano sul televisore, come si faceva un tempo dall’angolo del ring. Non ne potevamo più, non vedevamo l’ora che arrivasse il fischio finale a porre fine allo scempio. Non sappiamo se Fabio Grosso fosse sulla graticola; poco importa perché ora sta a contatto diretto con i carboni ardenti, con la differenza che non li attraversa a piedi nudi come fece il compianto Mino Damato, ma vi rimane seduto con le chiappe sopra. A Setti il dovere di togliervelo il prima possibile e ricoverarlo al centro ustioni del Sacro Cuore di Negrar in un gesto di humana pietas (sempre che il calcio la contempli nei propri codici, ovviamente). 

Per Fabio Grosso l’esperienza al Verona è stata un'ustione di terzo grado. Era una panchina bollente e si è scottato. Nessun dramma, sapeva a cosa sarebbe andato incontro. È parte del suo mestiere. Abbiamo fatto ricorso al passato prossimo, perché la sua avventura alla guida dell’Hellas la consideriamo conclusa. Il disastro di Brescia ne è stato il capolinea. Arrivato in estate dopo la tregenda dello scorso anno, era l’uomo deputato alla risalita. Nutrivamo qualche dubbio, ma gli abbiamo dato il benvenuto e lo abbiamo sostenuto. Era nostro dovere farlo. Qualcosa di buono si è anche visto, ma in definitiva le ombre hanno via via preso il sopravvento fino all’eclissi di ieri. Eppure quella che D’Amico (ora pure lui è finito nell’occhio del ciclone, ma oltre alla rabbia montante di queste ore, non se ne comprendono le ragioni) gli ha messo a disposizione, è una buona macchina. L’errore di Grosso è stato quello di rimanere avvinghiato a schemi annotati su un foglio di carta a quadretti della carta intestata di Coverciano; non è andato oltre il libretto delle istruzioni. Da figlio della dottrina su quell’altare si è consumato il suo sacrificio.

Va chiarito un punto: il calcio non è mera erudizione, non basta studiare per essere bravi allenatori. Uscire a pieni voti da Coverciano, non si traduce automaticamente in una panchina vincente. Il calcio è una scienza inesatta, e per questo è l’unica che ci appassiona. Il calcio non ha formule né alchimie. Il calcio e sì un’idea, ma machiavellica. il calcio è una sporca faccenda per vecchie volpi. Quel diavolo di José Mourinho avrà mille difetti, non sarà stato magari uno studente modello sui banchi di Coverciano, ma sa sempre essere dentro gli ingranaggi. Intuisce le cose prima che accadano. Lì ha costruito le sue fortune. È ciò che nella vita si chiama Università della Strada. Nulla ti dà di più. Fabio Grosso è un bravo ragazzo, molto educato e perbene (glielo abbiamo anche detto di persona), ma di strada ha dimostrato di averne fatta pochina. Gli auguriamo per il futuro della sua carriera di recuperare il tempo perduto. 

Nella domenica decisiva, su un campo difficile e contro una squadra in salute, nella consapevolezza di giocarsi tutto si è apertamente sconfessato; ha messo insieme i gemelli diversi Di Carmine e Pazzini sorretti da un modulo tutto nuovo. Una smargiassata, un’inutile gonfiata di petto pagata a caro prezzo. Già avevamo sottolineato come girare e rigirare l’organico non ci paresse una buona idea. Settimana dopo settimana la squadra è andata progressivamente in confusione, si è involuta e persa fino a non seguirlo più. Il Verona è spento, non ha un’identità.

Setti ha prima il dovere d’intervenire, poi spieghi. Ogni tanto sentire la sua voce non sarebbe male. Dovesse spingere la polvere sotto il tappeto, come spesso gli capita,  verrebbe meno ai suoi doveri di presidente. Qui gli alibi stanno a zero. Dopo un horror come quello dello scorso anno, non possiamo pistolettarci anche il sequel. Ci auguriamo che i silenzi di queste ore siano premonitori di azione. Ci attendono la sosta e tre partite cruciali. Il momento di metter mano è adesso. Il toto sostituto è scattato. Leggiamo nomi a ripetizione, più frutto della fantasia che altro. Setti è attratto da giovani allenatori, nella speranza di aprire con loro un ciclo. Nulla in contrario, anzi, ma fossimo in lui in un momento come questo andremmo sull’usato sicuro. Di rischi ne abbiamo presi abbastanza. In attesa di tempi migliori, meglio affidarsi alla prudenza, che di solito cattiva consigliera non è. Noi il Verona lo daremmo al sergente Hartman, quello che in Full Metal Jacket alla truppa strizzava gli zebedei. Lui sì, sapeva come fare. Altro che gli studentelli di Coverciano. 

Sezione: Editoriale / Data: Lun 12 novembre 2018 alle 12:30
Autore: Lorenzo Fabiano
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