Nel deserto e nel silenzio del Bentegodi, il Verona rinasce da se stesso proprio nella partita più difficile, senza tifosi e contro la capolista. Non inganni il dato sugli abbonati: ben pochi di quei 7.660 sono entrati allo stadio. In curva solo una traccia dei molti rimasti fuori, uno striscione beffardo nei confronti del presidente Maurizio Setti: «Ecco il tuo bilancio». Hanno avuto torto? Forse. Perché l’Hellas ha dimostrato se non altro personalità e forza di reazione: Fabio Grosso non rischia più, ma il ritorno alla normalità non è ancora completato, una vittoria in 7 partite è troppo poco. Il Palermo domina a lungo, poi va sotto, poi recupera. Interrompe la serie di tre successi di fila (ma sono 5 nelle ultime 7 gare) e conferma di non essere distratto dalle vicende societarie. Roberto Stellone schiera una squadra offensiva, ma non sbilanciata.

LA SVOLTA Solo Palermo domina fino al gol, poi il Verona segna: è la svolta. Merito di Lee che fa l’imbucata per Matos che attira Bellusci, in ritardo e in equilibrio instabile, e appoggia per Di Carmine, a sinistra, libero di battere Brignoli. Fino al minuto 31 c’è la capolista, e basta: Stellone rischia un 442 tendente al 424 per Falletti e Trajkovski stanno alti, quasi all’altezza delle due punte. Quattro attaccanti, come ruolo e abitudini, più i terzini che spingono con continuità. La soluzione più offensiva perché il tecnico non fa differenza tra partite in casa e fuori, ammesso che questa possa essere considerata una trasferta. L’Hellas subisce a lungo e non sa reagire (Marrone, play al posto di Colombatto, fatica a costruire dovendo occuparsi anche di Jajalo), si rintana nella suametà campo, rischia anche di andare sotto ma Silvestri è bravo a salvare di piedi su Nestorovski. Ci prova un paio di volte in contropiede con Lee, poi, nel momento di maggiore sofferenza, il depresso Verona trova l’episodio che, nel vuoto del Bentegodi, restituisce di colpo autostima e ottimismo. Il Palermo si ritrova sotto quasi senza saperlo, accusa il colpo, vede l’avversario riorganizzarsi e tentare un timido possesso palla, qualcosa di impensabile fino a pochi minuti prima. Crescenzi capisce che Aleesami non è un ostacolo insuperabile e azzarda un paio di discese, nella seconda delle quali Bellusci cerca di far dimenticare la dormita sul gol con una scivolata provvidenziale. Ma la partita ha cambiato padrone.

PAZZO NEL FINALE All’inizio della ripresa Stellone inverte la posizione di Falletti, poco produttivo a destra, e lo sposta a sinistra al posto di Trajkovski a destra. Ma gli effetti del cambio non si vedono. Il Verona c’è, ha lasciato le sue paure nello spogliatoio: minuto 7, angolo della destra, Dawidowicz ruba il tempo e manda fuori di testa. Ma poi l’Hellas prende il solito gol nel suo momento migliore: angolo dalla destra di Trajkovski , Dawidowicz si fa s o r prendere , gran colpo di testa di Rajkovic. Grosso aspetta qualche minuto, toglie Zaccagni e cambia sistema, passando al 4231 con Laribi trequartista dietro Di Carmine unica punta, Ragusa a destra e Lee a sinistra. Puscas sfiora il gol, poi entra Pazzini e Grosso passa al 442. Tre moduli per un pari che pochi hanno visto.

Sezione: Rassegna / Data: Sab 24 novembre 2018 alle 12:30 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Anna Vuerich
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