«Morire è un atto indecente», scriveva Alberto Moravia contro la banalità della vita quotidiana. Lo è soprattutto quando se ne va un ragazzo di 31 anni, compiuti a gennaio, che lascia una giovane compagna, Francesca, e una deliziosa bambina, Vittoria, che solo pochi giorni fa ha festeggiato il suo secondo compleanno.
Che poi Davide Astori fosse un calciatore, capitano della Fiorentina, è aspetto secondario nell’alveo d’una disgrazia inaspettata. A questa età non si dovrebbe morire. Ma ci sono chiamate alle quali non sappiamo porre rimedio e di cui dobbiamo solo accettare il verdetto.
L’altro giorno è morto a 107 anni Gillo Dorfles - «personalità di grande spessore, che ha saputo esplorare i termini della cultura moderna nelle sue diverse espressività», per usare le parole del presidente della Repubblica, Mattarella -, ieri è toccata la stessa sorte a un giovane sportivo supercontrollato, trovato esanime nel suo letto, a Udine.
A distanza di poche ore avrebbe dovuto guidare la Viola sul campo dove, nel campionato 2014-’15, regalò la vittoria alla Roma, la squadra di allora, con un gol contestato. Dentro o fuori, il pallone? Non c’era la gol-line technology. Era dentro, il pallone, e l’arbitro ebbe il coraggio di convalidare la rete nonostante l’opposizione del guardalinee.
Fatalità ha voluto che Astori sia scomparso a 2, 3 chilometri da quello stadio.
Immaginatevi il dolore dei genitori e della sua Francesca. Ma più ancora mi chiedo cosa stia capendo la piccola Vittoria del dramma che, per forza di cose, segnerà la sua vita. Figuratevi anche lo sconforto dei dirigenti della Fiorentina nel momento di avvertire i famigliari. Il cordoglio è stato, è, unanime. I compagni di squadra piangono senza ritegno il loro leader, il loro punto di riferimento, il loro capitano. E non è commozione di facciata. Perché Davide s’è fatto amare in tutti i club dove è stato, nelle sei stagioni di Cagliari, come nella volata di Roma, nella città del Medici e in Nazionale.
«Una persona perbene», ha scritto Buffon. Proprio così, «una persona perbene». A lui s’erano affidati i Della Valle la scorsa estate quando avevano deciso di cambiare faccia alla squadra cedendo alcuni dei migliori giocatori. Astori aveva risposto di essere della partita. E nello spogliatoio aveva fatto la sua parte senza remora alcuna.
Al solito c’è chi ha speculato sulla sua scomparsa dimenticando che il nostro sistema medico-sanitario è il primo al mondo per la serietà e la costanza dei controlli.
Chiunque fa attività sportiva, in un circolo di tennis come in una gara competitiva, deve avere un certificato di buona salute o di idoneità.
Per i professionisti il monitoraggio è praticamente quotidiano. Se il numero delle morti improvvise è sceso drasticamente nel nostro paese, lo si deve alle indicazioni della Federazione medico sportiva che, per fortuna, hanno fatto breccia nei politici e oggi sono legge. Ma ci sono casi che sfuggono a ecg sotto sforzo, ecocardiogrammi ed esami del sangue. Quanti sportivi, anche di nome, sono stati fermati in tempo: a costoro è stata salvata la vita. Eppure all’estero ci criticano per la severità delle nostre norme.
Il presidente del Coni Malagò, che è anche commissario della Lega, e il commissario straordinario della Figc, Fabbricini, hanno bloccato le partite di ieri palesando l’ipotesi d’uno slittamento del campionato. Sulla carta una idea vincente. L’imminenza del Mondiale, ahinoi, non ci riguarda.
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