Tutto è partito da lui. Damiano Tommasi ci ha messo un attimo a mettere, per una volta, tutti d’accordo. Un semplice messaggio alle società, con l’intenzione di non giocare come era il volere anche dei calciatori che da quasi sette anni rappresenta da numero uno dell’Aic. «È la prima volta che ci si ferma per rispetto della morte. Le parole non possono ovviamente essere molte», la premessa di Tommasi, «tutti noi avvertiamo un grande sentimento di affetto e vicinanza a prescindere dalla squadra per cui si gioca. Purtroppo questi fatti avvengono e quando succedono non c’è molto da dire. Bisogna capire che ci sono cose importanti nella vita, a cui si dà poca attenzione nella quotidianità. Adesso bisogna ripartire. È stata giusta e condivisa da tutti la volontà di fermarsi, nessuno ritengo possa dire di non essere d’accordo. Ci sentiamo tutti parte di una grande famiglia. Che lo spettacolo ricominci quando sarà più giusto».

DOLORE PROFONDO Verona ha trascorso la domenica ad interrogarsi, senza trovare risposte. Ha riflettuto a lungo il calcio nel suo sottosuolo, lontano dal Bentegodi e dal grande teatro delle Serie A.
Facile andare indietro nel tempo. Soprattutto al 22 dicembre del 2007 quando sul campo dell’Intrepida, nel quartiere di Madonna di Campagna, morì il diciottenne arbitro Lorenzo Modena dopo pochi minuti dall’inizio della partita di Giovanissimi con l’Olimpia Stadio. Inutili i soccorsi e la corsa all’ospedale di Borgo Roma.
La scomparsa di Astori ha risvegliato d’un colpo il dolore di Mario Gennaro, ora a capo dell’Aia provinciale, all’epoca vice di Gianluca Baciga. «Fui io a comunicare quel che era successo ai genitori di Lorenzo, ricordo come se fosse ora. Inverosimile sia potuto accadere a chi come Astori viene sottoposto con grande frequenza ad accurati controlli medici», sospira Gennaro.
Il Veneto c’era già passato anche 17 novembre del 1996 quando ai bordi del campo di Oriago di Mira morì Jacopo Reggio degli Allievi del Nettuno Lido, che al suo ragazzo ha intitolato il centro sportivo. Più fresca e ancora aperta la ferita lasciata da Andrea Mantovani, collaboratore de L’Arena e portiere della squadra dei giornalisti morto il 4 aprile del 2015 a 42 anni per un malore accusato agli impianti sportivi di Sommacampagna prima dell’inizio della partita con l’Atletico Rio Valli. Andrea si accasciò al suolo dopo il riscaldamento, morì poi all’ospedale di Borgo Trento.

PENSIERI E CONTROLLI Un vuoto incolmabile, a tutti i livelli. «Dura darsi delle risposte, se solo pensiamo a quanto capillari siano gli accertamenti per i pochi atleti di alto livello rispetto ai numeri mastodontici dei dilettanti», le perplessità di Claudio Prando, fresco presidente della Delegazione provinciale di Verona, custode di un bacino di diciassettemila tesseramenti annuali che diventano trentamila con quelli già vincolati. Prando ieri ha ripassato idealmente una volta di più tutti i cartellini depositati nella sede della Delegazione Provinciale negli uffici del Bentegodi.
«Il senso è quello di grande responsabilità, semplicemente ripassando tutte le partite organizzate nei fine settimana e rivolgendo lo sguardo a tutti i ragazzi che rendono vivo il calcio con la propria passione. È successo qualcosa difficile da spiegare», l’amarezza di Prando, che con la Delegazione sta portando avanti una profonda opera di sensibilizzazione, soprattutto dopo l’obbligo per tutte le società di dotarsi di defibrillatore, provvedimento effettivo dal primo luglio scorso dopo il Decreto Legge del 26 giugno.

PUNTI DI DOMANDA. Da una parte il vuoto, dall’altra la realtà con cui fare i conti. «Credo che la domenica di tutti noi che amiamo il calcio», il pensiero di Giuseppe Ruzza, presidente della Figc del Veneto, «sia stata monopolizzata da profonde riflessioni. Anche per chi in fondo non è uno sportivo. È stato straziante sentire le testimonianze di chi Astori lo aveva conosciuto a fondo. Ci si chiede come sia potuto succedere proprio a lui, ad un calciatore super professionista. Ho provato ad immedesimarmi nel dramma dei suoi compagni, di chi con lui ha condiviso gioie e delusioni. Giusto non giocare, decisione saggia e doverosa». Ruzza poi scende nel profondo del calcio, quello di periferia: «Sul Caso Astori si farà chiarezza. Da dirigente mi rivolgo alle società che a volte fanno giocare i propri tesserati senza prima aver fatto svolgere la visita medica obbligatoria. In generale c’è grande attenzione, ma è chiaro che in campo non può andarci nessuno se non prima di aver eseguito i controlli necessari. Quelli che negli anni hanno permesso di individuare tanti atleti non idonei. Proprio grazie al calcio»

Sezione: Focus / Data: Lun 05 marzo 2018 alle 13:00 / Fonte: L'Arena
Autore: Anna Vuerich
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