Lino Golin corre ancora dietro a un pallone: sforna assist, si arrabbia quando perde. A 73 anni - riporta l'edizione odierna della Gazzetta dello Sport - sembra aver stretto un patto col Diavolo: non un filo di pancia, muscoli tonici e fiato da vendere.
Due o tre volte alla settimana sfida avversari molto più giovani. E siccome i giocatori cambiano, capita sempre più spesso la seguente scenetta: Golin richiama il compagno di turno e questo risponde «Quante storie, nemmeno se tu avessi giocato in A».
Ci ha giocato e ha pure vinto qualcosina: uno scudetto, una Coppa delle Coppe, una Intercontinentale, 2 Coppa Italia. Successi ottenuti col Milan di Nereo Rocco e Gianni Rivera.
Niente male per un ragazzo partito da Soave, terra impreziosita dai vitigni, che con il Diavolo rossonero (senza bisogno di patti) ha conosciuto trionfi e delusioni. La più cocente al Bentegodi: doppia beffa per lui che aveva iniziato con i gialloblù.
Oggi il Milan può mandare in B i veneti, 45 anni dopo la «fatal Verona».
È vero che il k.o. del 1973 le costò un appartamento?
«Beh, sì. Il capitano Rivera aveva già stabilito con la società i premi scudetto: a me toccavano 15 milioni di lire. Avrei preso una casa. Andò peggio a Rocco: doveva comprarsi un palazzo in centro. Ma un po’ se l’è cercata...».
Ci spieghi.
«Eravamo reduci dalla battaglia di Salonicco: vittoria della Coppa delle Coppe contro il Leeds. Rientrammo in Italia il giovedì notte. Il Milan chiese invano il posticipo della gara di Verona. La cosa migliore era un turnover, ma questa parola non rientrava nel vocabolario di Rocco: schierò lo stesso 11 sfinito dalla finale. Dopo 30’ stavamo sotto 3-0».
Terminò 5-3 con psicodramma dei milanisti: scudetto alla Juve per il gol nel finale alla Roma.
«E si chiuse così la mia esperienza al Milan: incominciata nell’estate 1967».
Lei diventa calciatore proprio nel Verona.
«Mi notarono in un torneo. I miei non volevano giocassi, troppe scarpe consumate.Ricordo ancora la faccia della mamma quando portai il denaro del premio partita dopo l’esordio in B».
Racconti.
«Avevo meno di 18 anni, vinciamo 1-0 a Como. Al campo distribuiscono le buste, ma non ho il coraggio di aprirla. Lo faccio sul bus che mi riportava a Soave: c’erano 80 mila lire. Papà non le guadagnava in un mese».
Poi cosa è accaduto?
«Trovo mamma in cucina: prendo le banconote e le spargo sul pavimento. Lei inizia a saltare con le lacrime agli occhi. Allora le massaie avevano il libretto dei debiti: panettiere, macellaio, lattaio. Il giorno dopo saldò tutti».
Dal Verona al Milan mentre era in viaggio di nozze...
«L’ho scoperto dalla Gazzetta in Val d’Aosta. In prima pagina c’è: “Golin al Milan per 150 milioni e la metà di Maddè”. Chiamo in sede per capire se è vero, il segretario urla: “Torna, hai le visite mediche”. Addio viaggio di nozze».
Col Milan ha vinto molto, giocato meno.
«Rocco coi giovani ci andava cauto, ma il primo anno mi feci male con la De Martino altrimenti toccava a me. Dopo esplose Prati. E poi Rocco parlava poco: una volta mi disse che ero titolare contro l’Inter a mezz’ora dal match: “Tieni la maglia, mona. Fammi vedere cosa sai fare”. Giocavo in fascia, ma avevo iniziato da regista avanzato, come Rivera».
Milan-Verona vale l’Europa per i rossoneri, ma i veneti vedono la B.
«Mi dispiace, ma nel calcio attuale non contano storia e tifoseria importante. Il Milan? Deve lottare per lo scudetto, ma vale il discorso di prima. Gattuso? Mi ha sorpreso, però non so se sia il tecnico giusto per vincere. Se conquista la Coppa Italia merita la riconferma».
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