Non riesci a capire, proprio non ce la fai. Cerchi un perché ma niente, non puoi trovarlo. Quell’età, 31 anni, quelle parole, l’atleta, il calciatore, sembrano a una distanza siderale dalla morte.
«È vero, lo si pensa, è naturale. Ma non è corretto perché purtroppo esistono situazioni sommerse che possono portare a queste tragedie». Bruno Carù, cardiologo di fama internazionale con una grande esperienza nel mondo sportivo, è intervenuto tante volte su idoneità agonistiche concesse o negate, ma davanti alla morte di Davide Astori è tutto diverso. «Prima di tutto bisogna scoprire le cause di quanto è accaduto, trovare una ragione. Naturalmente si dà la colpa al cuore, ma può essere che l’evento non sia direttamente riconducibile al cuore: penso per esempio a un aneurisma cerebrale, che non è facilmente diagnosticabile».

UN CASO DIVERSO
«Non è corretto fare delle ipotesi finché non avremo i dati dell’esame autoptico – spiega Fabio Pigozzi, presidente della federazione mondiale di medicina sportiva e rettore dell’università del Foro Italico –. Un dato è certo: questo è un caso di morte improvvisa di un atleta di élite che non è accaduto né in allenamento né in partita e quindi non c’è un rapporto fra esercizio fisico e morte improvvisa come invece in altri casi».
Giuliano Altamura, per dieci anni primario di cardiologia al «Pertini» di Roma, impegnato con l’associazione «Insieme per il cuore», per diffondere l’uso del defibrillatore (l’ultima battaglia è quella per la presenza dello strumento nei palazzi delle abitazioni private): «Purtroppo la maggior parte degli arresti cardiaci avviene di notte, nel sonno. E qui le possibilità di intervenire si annullano».

ITALIA ESEMPIO
Interviene anche Carlo Tranquilli, una lunga esperienza di medico sportivo in diverse federazioni (anche nell’Under 21 di calcio): «Purtroppo non c’è niente di nuovo, con i controlli si abbassa di molto il rischio di morte. Siamo fra i primi al mondo, con lo screening che facciamo in Italia e i controlli pre­gara per gli atleti professionisti si possono abbassare i rischi di morte improvvisa dell’89%, ma non del 100 per cento».
C’è una cosa sottolineata infatti da tutti: l’Italia è un Paese leader al mondo nella prevenzione. «I protocolli sono estremamente approfonditi – spiega Pigozzi – Ricordo il titolo di un giornale spagnolo dopo la tragedia di Puerta, El ejemplo italiano. Tutto ciò non può escludere tutti gli incidenti. Comunque una causa c’è e va naturalmente cercata». Anche Carù è convinto che le «procedure in Italia siano estremamente corrette, siamo all’avanguardia per esempio nella concessione del certificato di idoneità. Ma fra le cause degli incidenti ci possono essere degli aspetti neurologici e cerebrali, senza indizi. Io non ho mai fatto una tac cerebrale per capire il rischio di un aneurisma».

PATOLOGIE NASCOSTE
Naturalmente entrare nel merito nel caso è impossibile. Per ora tutti sono fermi alle parole del procuratore capo della repubblica di Udine: «arresto circolatorio» e «tragica fatalità come ipotesi che si affaccia più sicura». «Non posso conoscere il caso ­ aggiunge Altamura ­ Potrebbe essere stato provocato da piccole placche, che nella maggior parte dei casi vengono ritenute fisiologiche, e che ulcerandosi provocano la rottura di un vaso».
«Purtroppo ci sono patologie che sfuggono – spiega ancora Tranquilli –. Negli sportivi Under 35 possono capitare patologie nascoste come le cardiomiopatie ipertrofiche o una displasia aritmogena. Questo tipo di patologie si possono sospettare ma è difficile scoprirle». Ma in un futuro la scienza e la medicina riusciranno a ridurre o addirittura ad azzerare la soglia del pericolo? «Sicuramente si andrà avanti e si ridurranno questi rischi – dice Carù – ma io non credo che si arriverà al punto di azzerarli».

Sezione: Focus / Data: Lun 05 marzo 2018 alle 07:30 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Anna Vuerich
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