Si è fatto un po’ attendere, ma finalmente l'annuncio, pur scontato che fosse,  è arrivato. Fabio Grosso è il nuovo allenatore del Verona. Contratto fino al 2020, matrimonio sancito. Lui ha voluto il Verona, il Verona ha voluto lui, tanto che nell’accordo col Bari Karamoko Cissè torna in riva all'Adige dopo dieci anni.  A Grosso diamo il più sincero dei benvenuti, sperando che possa incontrare maggiori fortune del Fabio che l’ha preceduto. Essendo giorni mondiali, non lo possiamo fare senza avere fisse negli occhi le immagini di quella notte di dodici estati fa quando il cielo sopra Berlino si fece azzurro (perdonate la retorica da operetta).

Bravo calciatore, ragazzo serio, posato ed educato, da lui mai abbiamo sentito una parola fuori posto; tanto campo, casa e (forse) anche chiesa; insomma il classico figlio modello che molte mamme italiane avrebbero voluto avere. Su di lui ci siamo sempre limitati ad una banalissima considerazione da bar sport: «sotto quella faccia da bravo ragazzo come tanti, quello lì come minimo tiene due palle di piombo». Altrimenti sprovvisto, in effetti non avrebbe mai trovato il coraggio di calciare con tanta sicurezza il calcio di rigore della vita in una finale mondiale. Dodici anni fa Fabio Grosso fu decisivo. Lippi lo pescò dal Palermo: lui lo ripagò con il rigore procurato allo scadere negli ottavi contro l’Australia, con quel sinistro velenoso che uccellò Lehman e ci aprì le porte della finale lasciando i tedeschi in lacrime, e infine col regalo più bello a Berlino quando in lacrime rimasero Barthez e i francesi. Con un biglietto del visita del genere, come minimo è impossibile non volergli un po’ di bene.

Dicevamo degli attributi. A Verona ne avrà molto bisogno, perché il percorso che lo attende è quantomeno tutto in salita. La situazione è quella che è: clima depresso, tifosi inferociti, forbice tra società e popolo preoccupantemente ampia. Primo lavoro da fare, salire sulla ruspa e sgomberare il campo dalle macerie dell’ultima nefasta stagione. Quindi, dare un’impronta alla squadra e rompere lo scetticismo conquistandosi la fiducia attraverso prestazioni e risultati. Altre vie non ne conosciamo. Grosso arriva a Verona dopo un ottimo lavoro svolto in qualità di tecnico della Primavera della Juventus (due anni fa vinse un titolo di prestigio a Viareggio) e una stagione in B sulla panchina del Bari tutto sommato positiva, alla luce delle condizioni in cui operava. Partiti bene, i pugliesi si sono un po’ persi per strada, salvo staccare il biglietto per l’accesso ai playoff dove si sono fermati a Cittadella (quella partita, avessero potuto giocarla al San Nicola come sul campo si erano guadagnati, forse avrebbe avuto un esito diverso). Il maggior merito di Grosso è stato quello  di creare un gruppo solido e ricreare un clima di entusiasmo riavvicinando la città alla squadra. Più o meno, è quanto dovrà cercare di fare anche qui.  Diciamo che i problemi maggiori li ha provocati la società barese, attraverso un’allegra gestione delle finanze di cui ora paga pesante dazio.

Fabio Grosso parte da una base di concezione fondata sul 4-3-3; tuttavia non è un integralista del modulo, e infatti ha svoltato sia sul 3-5-2 che sul 4-3-2-1. Numeri stucchevoli a parte, si propone come un tecnico aperto a più soluzioni con due convinzioni di fondo: la forza di un gruppo coeso e la bontà di un calcio propositivo. Ci riuscirà? Lo speriamo di tutto cuore. Passato il tempo delle parole del calcio estivo, verranno i fatti che come la matematica non sono opinabili. Allora vedremo. Intanto, in attesa di stringergli la mano, gli auguriamo un "Grosso" in bocca al lupo. 

 

Sezione: Editoriale / Data: Ven 22 giugno 2018 alle 17:30
Autore: Lorenzo Fabiano
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