«Qui l’è tutto da rifare» il refrain di Ginettaccio. Tutto magari no, molto sicuramente sì, dovessimo prenderlo in prestito per fotografare la situazione del Verona. L’istinto della tentazione spingerebbe a chiamare il numero verde dell’Amia e fissare un appuntamento all’isola ecologica più vicina (meglio sarebbe l’inceneritore di Ca’ del Bue, ma l’unica cosa che ha incenerito in quasi trent'anni è stata la pazienza dei cittadini veronesi) e invece a mente fredda analizzi le cose e ne convieni che tutto da buttare poi non è. Che sia necessario un bel Reset e che sulla tastiera il primo tasto da battere sia il Canc, non ci sono dubbi; poi si proceda pure a colpi di Enter. Stranezze, nel paese delle stranezze: avremo prima il nome del premier del nascente governo gialloverde che quelli del ds e allenatore del Verona che verrà. Succede anche questo.

Per la panchina Davide Nicola sarebbe in cima alla nostra lista dei desideri, ma il suo nome temiamo appartenga al periodo ipotetico dell’irrealtà. Venendo a strade più percorribili, giorno dopo giorno guadagnano credito le candidature di Pippo Inzaghi e Fabio Grosso; rispetto al secondo (il rischio di un Pecchia II La Vendetta, è forte), il primo avrebbe senza dubbio il vantaggio di rappresentare un segnale di apertura nei confronti di una piazza delusa e arrabbiata, gesto a più riprese invocato da queste colonne. Recuperare il rapporto con la tifoseria appare oggi un miraggio, ma provare a firmare una tregua tendendo la mano è perlomeno un dovere della società. Inzaghi, sarebbe in questa ottica una scelta corretta. Ha carisma, ambizione, e determinazione, sta facendo molto bene a Venezia dopo la burrascosa esperienza al Milan. Pippo ama Verona, Verona ama lui. Matrimonio sulla carta perfetto. I playoff cadetti impongono tempi d’attesa. Vedremo.

Per la scrivania si profila l’ipotesi di una soluzione interna di continuità con il recente passato attraverso la promozione di Tony D’Amico, uomo di fiducia di Filippo Fusco. In società regna il riserbo. Sebbene preferiremmo commentare i fatti anziché le illazioni, ci limitiamo a dire che dovesse toccare proprio a lui, per il buon Tony non sarà facile. Ci auguriamo abbia spalle sufficientemente larghe, perché di primo acchito la lancetta del barometro di gradimento che fiutiamo sul suo conto non volge certo al sereno. La pista che porta a Cittadella da Stefano Marchetti e che gode di maggiori favori, non è tramontata ma appare piuttosto complicata. Vedremo anche qui.

Rimane, ahinoi, la squadra. Tante le scadenze al fatidico 30 giugno (e meno male, verrebbe da aggiungere...), tra prestiti e contratti termine. Tra i primi, l’unico per cui ci spenderemmo è Alex Ferrari, autore di una stagione in chiaroscuro, ma pur sempre giovane di valore. Per tutti gli altri, ben venga l’addio. Da dove ripartire? Tra i pali, possibile partente Nicolas, tocca a Marco Silvestri. La difesa poggia sulla coppia Caracciolo e Bianchetti, già protagonisti della promozione un anno fa; lo sciagurato Souprayen fa meno danni da alternativa centrale che da esterno, dove ci auguriamo scocchi l’ora del definitivo lancio di Felicioli. Nemmeno a centrocampo stiamo malissimo: oltre a Fossati, Valoti, Bearzotti, Danzi e Calvano (quest'ultimi due giocatori lanciati da Pecchia, gli va riconosciuto), non bisogna dimenticare che recupereremo Zaccagni. Ci auguriamo possa restare Franco Zuculini, ginocchia arrugginite ma pedina fondamentale per il gruppo. Lo spogliatoio del Verona avrà sempre bisogno del suo cuore, soprattutto in cadetteria dove la Garra è di casa. Fares ha mercato, ma chissà che non si possa trattenerlo ancora un anno, visto che nelle casse di Via Francia (oltre ai 25 milioni del famigerato paracadute) entreranno i ricavi della cessione, pressochè certa, di Romulo e dei riscatti di Bessa e Viviani. Il buio scende sull’attacco, nota assai dolente quest’anno. Ad oggi l’unico a rimanere sarebbe il piccolo Lee. Dire che siamo in piena emergenza, è un eufemismo.

Tutto ruota attorno al ritorno di Pazzini dal prestito al Levante. Detto che in Spagna non lo rimpiangeranno, il Pazzo è un vecchio nodo irrisolto che riaffiora ora al pettine. Il classico pegno di decisioni non prese a suo tempo: quantomeno improbo trovare un accordo per una soluzione a lui gradita lontano da Verona. Il giocatore mai ha mancato di manifestare la propria affezione nei confronti dell’Hellas. Belle parole che vedremmo con estremo piacere confutate dai fatti (come fece due anni fa quando si ridusse l’ingaggio), perchè il suo oneroso contratto è un problema, non certo una risorsa. Ci rifiutiamo di credere non ne sia consapevole. Il divorzio consensuale, che per il bene di ambo le parti aprirebbe nuovi scenari di mercato in entrata, sarebbe il benvenuto. In caso contrario, a proseguire a passi incerti sarà una forzata reunion (non le amiamo nemmeno in musica, figuriamoci nelle beghe di pallone), o meglio un matrimonio di mera convenienza (li amiamo ancor meno). In attesa di scoprirne il volto, la prima grana con cui si troverà a che fare il nuovo ds è questa. Mica robetta da poco.

Inizio tutto in salita, quindi. D’altronde di cose in discesa su questi lidi ne abbiamo viste sempre pochine. Vincere facile non ci appartiene, ci mancherebbe altro; ma perdere troppo facile, come accaduto quest'anno, nemmeno. Lo si tenga bene a mente ai piani alti. Chissà che allora la lezione a qualcosa non sia servita. C'è tanto macero nel Verona che verrà, ma qualcosa da salvare e da cui ripartire tutto sommato c'è. A risentirci. 

Sezione: Editoriale / Data: Lun 21 maggio 2018 alle 17:00
Autore: Lorenzo Fabiano
vedi letture
Print