Profilo basso, parco di parole e carico di lavoro. Lui sta nell’ombra; luce piuttosto sugli acquisti del nuovo Verona, frutto delle sue operazioni. Preso a dileggio al momento della sua nomina quale successore di Filippo Fusco (la carineria più diffusa lo ritraeva come minimo un suo portaborse, se non un mal riuscito copia e incolla), Tony D’Amico si fa in quattro, non parla, non promette, non lancia proclami, ma si limita a depositare transfer su transfer sul tavolo di Setti.

Una volta data a Grosso la scacchiera, ha iniziato a fornirgli le pedine; finora sono arrivati Cissè, Laribi, Almici, Crescenzi, Gustafson, Eguelfi, fino al colpo dell’estate Di Carmine; presto alla compagnia si aggiungeranno Balkovec ed e lo scozzesino Henderson. Aggiungiamoci pure l’ingaggio di Boldor e il prestito dall’Udinese di Matos, stavolta con diritto di riscatto, e quello che sta nascendo ci pare sia proprio un bel Verona. Senza dubbio più forte di quello che è affondato miseramente in serie A la scorsa stagione. Non che ci volesse molto a dire il vero, ma tant'è. Complice l’ennesimo infortunio di Bianchetti, manca ancora un tassello al centro della difesa, dove Ariaudo (o chi per lui) è l’obiettivo; poi si penserà eventualmente a un esterno e a un’altra punta nel caso Pazzini dovesse partire. Diciamo che le caselle sono quasi tutte completate. Si dovrà lavorare in uscita, perché nella rosa attuale qualche esubero da sistemare c’è.

Alla presentazione dell'amico ritrovato Fabio Grosso a Primiero (i due erano compagni giovani in erba a Chieti), D’Amico tradiva una certa emozione. Cosa, che in un mondo fatto di sfingi è sempre apprezzabile. Il buon Tony sa che la scrivania del Verona, è la sua grande occasione. Sa anche che il suo compito non è affatto facile. Non può sbagliare una mossa, perchè tutti sono lì ad attenderlo al varco, pronti ad impallinarlo. Lui vola basso a parla con i fatti. La sua voce l’abbiamo sentita finora in una sola occasione in cui ha espresso concetti stringati e chiari: «Al Verona vogliamo solo giocatori convinti di vestire questa maglia, senza “se” e senza “ma”. Chi non è convinto, si accomodi pure». Tradotto: Felicioli  arriccia il naso e mostra insofferenza? Nessun problema caro Gian Filippo, vai al Perugia. Per il resto, zero interviste e zero apparizioni davanti a telecamere e microfoni.

D’Amico è un pescarese con un passato da calciatore che lo ha visto masticare pane duro sui campi della serie C: tanto fango, tanta gavetta, e una vita da mediano come piacerebbe a Ligabue. Ha chiuso la carriera cinque anni fa, quando ne aveva 33, a Lecco con una retrocessione in D. Correva l’anno 2013: per un cavillo non riuscì a svincolarsi entro il 30 giugno, ma solo ai primi di luglio e quindi non più tesserabile fino alla sessione invernale. La sua storia con le scarpe da pallone finì quel giorno, per iniziarne una nuova a caccia di talenti. 

Fusco che lo conosceva bene dai tempi di Foggia, lo volle con sé prima a Bologna, e quindi a Verona come Capo Scouting. Il resto è storia recente. All’ombra del suo Pigmalione ha studiato e appreso. Qualcuno di voi con i capelli grigi, ricorderà Enzo Cerusico e James Whitmore in Tony e il Professore, fortunata serie televisiva dei primi anni settanta. Ecco, più o meno le cose stavano così, solo che il Professore si è fatto da parte e allora tocca a Tony. Dandogli fiducia, Setti gli ha affidato una grossa responsabilità, lui l’ha accettata senza remore e ci dà dentro di brutto. Se ai bigonci del Bentegodi si rivede persino la gente in fila per sottoscrivere l’abbonamento, significa che in questa prima metà d’estate la più bella rivelazione del nuovo corso in atto a Via Francia, è proprio lui. La vita è la solita sliding door. 

Sezione: Editoriale / Data: Sab 21 luglio 2018 alle 17:51
Autore: Lorenzo Fabiano
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