Mettiamola così: il motore batte in testa, ma almeno non grippa. Una sola vittoria (e che fatica...!) nelle ultime cinque partite non è certo una cavalcata da accompagnare con la marcia trionfale dell’Aida. Eppure il Verona è lì agganciato al trenino che corre (mica tanto) sui binari della promozione. L’importante sarà esserci ancora in primavera quando chi ne avrà forza schiaccerà il piede sull’acceleratore per l’allungo decisivo. Vedremo a tempo debito, ora è quanto meno prematuro parlarne. Nel momento specifico, preoccupa di più l’involuzione di una squadra che pare aver smarrito da un po’ la retta via. Manovra farraginosa, mancanza di ritmo, sterilità in avanti (nelle ultime cinque partite degli attaccanti solo Di Carmine ha marcato il tabellino), difesa a buchi di Emmenthal (prende regolarmente gol). A tutto ciò aggiungiamo una gestione della rotazione (perdonateci l’allergia a una brutta parola come «turnover») più che mai discutibile.
Fabio Grosso ostenta tranquillità, beato lui, e nella schizofrenia generale mantiene intatta la sfinge dell’equilibrio (come minimo, dovrebbero dargli un passaporto diplomatico); attenzione però, che un altro passo falso a Brescia potrebbe rendere la sua posizione traballante. Restiamo convinti che l’organico che D’Amico gli ha messo a disposizione sia buono e assolutamente competitivo. Il problema sta in una rosa giovane e di prospettiva, che in talune situazioni si dimostra ancora un po’ acerba. Finora, soprattutto in mezzo al campo, non è emersa la figura di un leader in grado di farsi carico della squadra nelle circostanze più critiche. Colombatto e Henderson sono bravi ma vanno un po’ a corrente alternata, Gustafson è un problema esistenziale, Dawidowicz un fante da trincea difficilmente promovibile al rango di ufficiale; una delle più belle notizie di questo primo scorcio di stagione, è semmai il recupero di Zaccagni; Danzi, lo scorso anno un enfant prodige, se lo sono invece persi i radar. Eppure nonostante tutto questo il Verona fino a qualche settimana fa viaggiava; sarà, ma da quando è venuto a mancare Matos i meccanismi si sono inceppati. Una coincidenza? No. Il brasiliano era partito alla grande, le sue percussioni garantivano quei cambi di ritmo che in sua assenza sono venuti inevitabilmente a mancare.
Gli altri? Laribi mostra più ombre che luci (lo preferiremmo vedere mezzala o trequartista), Ragusa pare voglia spaccare il mondo salvo poi ricredersi quando si accorge che così facendo rischia che sia il mondo a spaccare lui. In avanti le cose non vanno meglio: la questione Pazzini è una stucchevole e grottesca telenovela di stampo tafazziano che ci portiamo avanti senza soluzione da due anni; Di Carmine, match winner col Perugia ma sottotono ad Ascoli, contro la Cremonese è finito in panchina a fargli compagnia; dentro allora Tupta, poi abbandonato al proprio destino nelle praterie del Wyoming occupate dai Mandorlinioux. Incomprensibili e inaccettabili, le bordate di fischi al povero Cissé, venerdì sera già bersaglio alla lettura delle formazioni e al primo pallone toccato. Lo ha sbagliato? Provateci un po’ voi a giocare in quelle condizioni. Coraggio Karamoko, tanto lo sai anche tu che la mamma degli imbecilli è sempre incinta. Dietro, complici gravi amnesie difensive, non riusciamo a mantenere le reti del bravo Silvestri bianche.
Tante magagne, insomma. Ma poi guardi la classifica e pensi che tutto sommato l’apocalisse è un’altra cosa. Sarà pure magra consolazione, ma gli altri non è che stiano poi facendo chissà che cosa. Hanno partite in meno? Vero, ma bisogna pur giocarle e soprattutto vincerle. Regna l'equilibrio, manca finora l'ammazza-campionato. E allora ai primi di novembre siamo lì nel gruppo di testa: solo il Palermo, che presto ci renderà visita, sembra aver ingranato la marcia. E visto la squadra che ha, ci sta. Segna più di noi (5 gol in più) ma ne subisce più o meno quanti noi (appena due di meno). Il Pescara frena, la Salernitana ha la nostra stessa differenza reti, il Lecce fa raffiche di gol (ci ha rifilato due pappine) ma ne becca (un gol al passivo più di noi). Delle retrocesse, le favorite insieme al Palermo alla vigilia, è il Verona a far meglio: il Crotone, sprofondato in basso, ha chiamato Oddo al suo capezzale, mentre gli spendaccioni di Benevento arrancano e le buscano al Vigorito da quell’Ascoli che proprio una banda di sprovveduti evidentemente non dev’essere. Insomma, se Atene piange, diciamo che Sparta non ride. Sebbene azzoppato a 19, lo spartito è sempre lo stesso: tutto in divenire, tutto può ancora succedere. È la solita dura legge della serie B.
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