Il Soviet Supremo ha partorito il topolino. Il temuto comunicato dell’agenzia Tass attraverso le colonne della Pravda è arrivato: poche righe per confermare Fabio Grosso in sella. Ipse dixit Maurizio Setti. Un paio di giorni convulsi e turbolenti per ridurre il tutto alla più classica delle versioni del Tanto Rumore per Nulla di shakespeariana memoria. Decidere di non decidere pare essere diventata una prassi consolidata dalle parti di Via Francia.
Ci risiamo: due anni fa Setti impiegò 14 giornate (con la squadra all’ultimo posto in classifica e zero vittorie) a chiudere con Andrea Mandorlini un rapporto che già al termine della campionato precedente era arrivato alla fine naturale del suo ciclo. Lo avesse fatto prima, ci saremmo risparmiati una buona dose di acide code velenose e avremmo forse potuto coltivare ancora un briciolo di speranza di salvezza in più. Lo scorso anno l’ostinazione del presidente di proseguire con Fabio Pecchia fino alla fine (ma che comodo parafulmine, vero presidente...?), altro non ha prodotto che retrocedere all’arma bianca, far esplodere la rabbia popolare, e rendere la vita impossibile allo stesso povero Pecchia, fatto oggetto suo malgrado di ogni ingiuria possibile e immaginabile. Umanamente, non un bel quadretto.
In estate si erano gettate le basi per una rifondazione; squadra affidata a una nuova scommessa come Fabio Grosso, direzione sportiva al giovane e tenace Tony D’Amico, autore di una campagna acquisti e trasferimenti a detta di tutti importante e ben condotta anche grazie alle casse risanate da Filippo Fusco (che almeno questo glielo si riconosca). Le premesse per una sana ricostruzione da cui poter ripartire insomma c’erano tutte. E invece dopo qualche giro in altalena, la terra ha cominciato a tremare nuovamente sotto i piedi e le vecchie magagne sono riaffiorate tutte. Che la pazienza della tifoseria fosse ridotta ai minimi, non serviva certo il tonfo di Brescia per capirlo; pur delusa e incazzata, a luglio la gente del Verona si è messa in fila ordinata sotto il solleone a sottoscrivere gli abbonamenti e rinnovare il proprio sostegno. Un atto eroico, un encomiabile gesto d’amore di cui Setti avrebbe potuto (e dovuto) tener conto di fronte allo strazio della situazione attuale.
Nulla abbiamo contro Fabio Grosso, che anzi è una degnissima persona alla quale auguriamo tutte le fortune di questo mondo, ma che questo comunicato riduce ad un Dead Man Walking, alias parafulmine marca Pecchia 2.0. Qui o la andava o la spaccava. Ha spaccato. Nessuno chiedeva a Setti di seguire gli umori della piazza, ma perlomeno di ascoltarla, questo sì. Il sacrificio di Grosso, ma guarda in che razza di manicomio è capitato, poteva essere l’occasione per un riavvicinamento, per tendere una mano e avviare le prove tecniche di ricomposizione di una frattura che se per taluni era già comunque esposta e scomposta, alla luce delle parole pravdiane del presidente risulta ormai insanabile.
Predichiamo da sempre equilibrio, i mangiallenatori alla Zamparini di turno per intenderci non fanno per noi, ma allo stesso tempo apprezziamo interventismo e decisionismo, quando serve. E qui serviva eccome. Decidere di non decidere non è una risposta, dire per dire nulla è anche peggio. Al Verona succede spesso. Ma che il nulla ci tocchi sempre apprenderlo dalle colonne della Pravda e mai direttamente dalla bocca dell’uomo al comando del Verona, è proprio il colmo dei colmi. Repetita non iuvant, caro presidente.
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