Altro che quaranta giorni; il tifoso del Verona è in Quaresima almeno dallo scorso mese di agosto, quando ebbe inizio questo tribolato campionato. Ogni partita, a parte qualche sporadico strappo alla regola, è un venerdì magro. Nessun problema, se questo è il prezzo da pagare per poter celebrare la Pasqua a maggio con una miracolosa salvezza. Siamo anche pronti a farci Mormoni, se è per questo. Benvenuti allora nel Calvanismo, che nella religione del pianeta Hellas rappresenta più o meno la più estrema e integralista applicazione dei principi della Quaresima. Lo diciamo senza ironia alcuna, si badi bene, ma con rinnovata convinzione, anche a costo di essere presi per dei pazzi eretici.

Ma cos’è il Calvanismo? La prendiamo alla larga. Andati Bruno Zuculini e Daniel Bessa,  il mercato di gennaio non ha visto nuovi approdi a centrocampo. Fusco ci ha provato con Sanchez (che rinforzo sarebbe stato lì in mezzo!), ma più che il giocatore è stato il portafoglio a dire che il matrimonio non s’aveva da fare. L’arrivo di un esterno come Rolando Aarons non basta certo a coprire evidenti lacune. L’anglo giamaicano ha agile facilità di corsa, ma fa tenerezza tanto appare spaesato. Ha bisogno di tempo, ma qui di tempo non ce n’è. In mezzo, a Pecchia non è restato che alzare Romulo e ricorrere alla coppia Valoti-Buchel. Il primo ha sicuramente talento, ma deve darsi una strigliata se vuole crescere e diventare quel giocatore importante che per ora sta solo facendo intravedere di poter essere. Il secondo dopo un disastroso avvio di stagione, ha dato confortanti segnali di ripresa, salvo ripiombare nel marasma, una volta privato di Zuculini al suo fianco. Uscito lunedì malconcio dall'Olimpico, dove va detto non ne ha fatta mezza giusta, al suo posto nella ripresa Pecchia ha ancora una volta mandato in campo Simone Calvano, l’oggetto del mistero passibile di attento studio in una puntata di Voyager. Da tempo la tifoseria lo tratta senza pietà come l’ultima delle scamorze, e vede in lui il simbolo della pochezza a 360° del Verona. Sarà che siamo degli indomabili bastian contrari, ma noi la pensiamo in modo diametralmente opposto.

Calvano arrivò al Milan quando aveva appena 17 anni. A Milanello credevano molto in lui. Purtroppo un crack al ginocchio ne frenò l’ascesa. Arrivato al Verona nell’estate del 2012 ha girato l’Italia in prestito calcando i campi delle serie minori nel tentativo di riemergere. La scorsa stagione a Reggio Emilia ha fatto molto bene. Rientrato all’Hellas, l’infortunio a Zaccagni ha indotto la società a inserirlo nella rosa. Calvano lo abbiamo sinora visto a sprazzi: tanto basta per notare che oltre al fisico ha pure piedi educati e personalità. Nell’imbarazzo dell’Olimpico è stato uno dei pochi a darne un minimo sfoggio. L’unico tiro in porta in novanta minuti l’ha sferrato lui. La penuria di cui la squadra soffre nella linea mediana del campo, suggerirebbe di dargli fiducia. Pensiamo se la stia guadagnando.

Ok, ma che c’entra stà storia del Calvanismo, direte voi…? Tutti, anche i più duri di comprendonio, ormai sanno che il Verona si fonda sul principio autarchico di far crescer e valorizzare i propri prodotti con un occhio fisso sulla calcolatrice. Per essere chiari, sul libro mastro il dare non potrà mai essere superiore all’avere. A Filippo Fusco è stato chiesto di mettere insieme una squadra a zero budget. Austerity e spending review su tutto il fronte, insomma; la vicenda di Simone Calvano ne è l’emblema. Niente acquisti per il centrocampo? Abbiamo Calvano, che è bravo, è nostro, e costa poco. Si fa con quello che si ha e si può, come nelle famiglie di una volta. Se i figli sognano l’iPhone, si accontentino del Brondi, che sempre un telefono è. Ecco cosa intendiamo per Calvanismo. Domenica contro il Torino, assente con ogni probabilità Buchel, potrebbe toccare a lui scendere in campo dal primo minuto. Riportato casa il profeta, tanto vale investirlo dei gradi di titolare. E poi scusate, ma che ci costa ormai…?

Sezione: Editoriale / Data: Mer 21 febbraio 2018 alle 16:23
Autore: Lorenzo Fabiano
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