Ci hanno insegnato che le partite si vincono e si perdono. Ovvietà politicamente corretta che non vale però per i derby.  Quelli sarà pur bello giocarli, ma si vincono e basta. Punto e a capo. Ricordiamo la vigilia di un derby capitolino di qualche anno fa, quando Zdenek Zeman, allora sulla panchina della Lazio, definì la stracittadina «una partita come le altre». L’indomani la Roma di Carletto Mazzone gliene rifilò tre. Passato  sulla sponda giallorossa del Tevere, il Boemo riuscì addirittura a perderne quattro in una sola stagione.  Commise un grave errore Zeman; non aveva infatti capito che un derby non è mai una partita come le altre. In ballo ci sono onore e storia; in campo scendono adrenalina e pathos, insomma tutto quello che solo il calcio riesce a farci provare. Nessuno ci sta a tornarsene a casa bastonato a testa bassa. Ne sappiamo qualcosa. Brucia ancora la ferita del match di andata, deciso da uno stinco dell’highlander Pellissier e dalla vena occlusa di Bruno Zuculini. Fu tutto sommato un buon Verona, ma non bastò. Film già visto in abbondanza quest’anno. Ci siamo consolati con lo zuccherino dei rigori in Coppa Italia ma, diciamo la verità, avremmo fatto volentieri scambio. Il conto è aperto.

Noi e loro, eccoci di nuovo qua uno di fronte all’altro, come succede con i parenti che non vorresti mai vedere: noi i soliti a far fronte alla tempesta nelle acque di un mare perennemente agitato, loro abituati a godersi in barchetta il silenzio del pacioso lago dorato, ma questa volta  alle prese con un galleggiamento non poi tanto sicuro. Il Chievo non può inciampare, se intende tenersi a debita distanza dalla zona rossa e remare verso lidi tranquilli. Diciamo che può affrontare l’impegno con due risultati su tre a disposizione.  Diverso il discorso per il Verona, che in campo ci va tanto per cambiare per reggersi in piedi e a cui la vittoria (dopo il successo della Spal sul Bologna) serve come la Tachipirina sul lettone dell’influenza. Sarà partita vera, dura, aspra, da vincere prima con la testa che con le gambe. Troppa tensione ti attanaglia, a un eccesso di flemma nemmeno pensarci, è decisamente fuori tema. Servono equilibrio e massima concentrazione nella gestione della determinazione e della voglia. Detto così sembra facile, e invece non lo è affatto. Diversamente, avrebbe avuto ragione Zeman.

Il successo col Torino ha ridato fiato alla speranza. La squadra ha fornito confortanti segnali di vitalità e soprattutto ha saputo girare l’inerzia della gara a suo favore quando tutto lasciava presagire il contrario e iniziavamo a vedere lo spettro del precipizio. Uno sfoggio di forza e maturità mai visto, se non a sprazzi, in questa tribolata stagione. Ora bisogna proseguire su questa strada. Se invochiamo continuità, il crocevia con il Chievo è la prova del nove. Non avremo Romulo, uomo derby lo scorso anno nel pirotecnico finale con il Vicenza, quando fu il suo piattone a spalancarci i portoni del paradiso. Il capitano avrebbe dovuto scontare il turno di squalifica a Benevento, ma non si è giocato per le note drammatiche vicende. Ecco allora che salterà il derby. Assenza pesante. Avremmo qualcosa da ridire sui regolamenti, ma preferiamo non commentare per motivi di buon gusto e per non essere fraintesi. Speriamo almeno di recuperare Mattia Valoti, l’eroe di giornata contro il Torino. Gli altri, rientrati in gruppo i muscoli di Swarovski di Cerci, dovrebbero essere tutti abili e arruolati con l’elmetto in testa e la baionetta tra i denti. Sarà febbre a 90° (un inchino al sommo Nick Hornby) sabato sera al Bentegodi. Ci auguriamo di entrare in uno stadio gremito come nelle grandi occasioni, perché questa è la grande occasione per svoltare, inutile girarci intorno. Il Verona ha bisogno di tutto e di più, ma soprattutto di vincere e mettere in cascina altri tre punti preziosi per poter continuare a coltivare l’impresa. Andiamoceli a prendere. Altro da dire o da fare, non c’è.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 07 marzo 2018 alle 09:30
Autore: Lorenzo Fabiano
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