Poche ore e finalmente si parte a una settimana dalla chiusura di un mercato che potremmo definire scoppiettante: 17 arrivi a fronte di 10 cessioni (cui vanno aggiunte 15 partenze tra svincolati e fine prestiti), fanno una rivoluzione. Il presidente l’aveva annunciata: ecco allora che quatto quatto, lavorando sotto traccia lontano da taccuini, microfoni e telecamere, Tony D’Amico ha cambiato il volto del Verona. Arrivi in ogni reparto: rosa completa di prime scelte (alcune decisamente importanti) e alternative sia dal punto di vista individuale che tattico. Scelte mirate e funzionali al progetto, non certo buttate qua e là.
Squilli di tromba giungono in fanfara dalla stampa specializzata nazionale, compatta nel promuovere a pieni voti il mercato del Verona e posizionare la squadra di Grosso in pole position a fianco di Benevento e Palermo sulla griglia di partenza di un campionato che tra una magagna e l’altra si presenta al via questo weekend. Calma e gesso, dicevano i nonni. Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco, la variopinta celeberrima versione del Trap. Guai a farsi abbindolare dalle sirene. Il nuovo Verona si presenta come un cantiere aperto con tanto di cartello di lavori in corso esposto dall’architetto Fabio Grosso. Plasmare forgiare la squadra richiede tempo. È il prezzo della rivoluzione.
Due anni fa, il clima che si respirava di questi tempi era più o meno lo stesso di oggi: il Verona era ritratto da tutti gli addetti ai lavori come uno squadrone, il grande favorito di un campionato che sulla carta doveva già aver vinto. Protagonista di una partenza a razzo, in effetti all’inizio della stagione la squadra di Pecchia mise tutti d’accordo: gol e grappoli, bel gioco, e tanti punti in saccoccia. Sembrava potesse essere una formalità scandita dall’incedere della marcia trionfale dell’Aida, e invece le brume autunnali ci riservarono le due scoppole con Novara e Cittadella. Da lì alla fine il Verona navigò in un mare agitato. Arrivò in porto con una faticosa e soffertissima promozione.
Meglio chiarire subito: la serie B è bastarda, brutta, sporca, e cattiva. Un campionato estenuante, zeppo d’insidie e incline alle imboscate. Se in A non ci vai dalla porta principale, ti tocca provare a passare da quella di servizio, attraverso le Forche Caudine dei Playoff. Auguri vivissimi...! Sorprese e imprevisti sono la regola disseminata sul campo minato. Tutto ciò che di buono si è fatto d'estate sul mercato, può essere smontato e smentito in un batter d’occhio. Diffidiamo della solennità dei maghi indovini di agosto; gli unici cui ci affidiamo rimangono sempre Forest e Oronzo, con i quali almeno due sane risate ce le facciamo.
Lo scorso weekend un messaggio forte e chiaro si è presa il lusso di fornirlo la massima categoria: l’Inter protagonista di un mercato roboante, ma ancora alla ricerca di un’identità precisa, è miseramente caduta a Sassuolo. Flop alla prima. In questo periodo è arcinoto come le gambe siano imballate, ma chi ha cambiato molto si trova a che fare con l'aggravante di essere soprattutto alla ricerca del miglior assetto ed equilibrio, le vere chiavi di volta per trovare la quadra. Ci auguriamo che Grosso abbia già pronta la soluzione, ma più realisticamente crediamo che abbia bisogno di ancora qualche settimana per individuarla e metterla in pratica. Tutto normale.
Ciò che pretendiamo invece di vedere sin da domenica sono voglia, fame, e rabbia. «Lo avete ripetuto mille volte fino all’asfissia» direte voi. Giusta obiezione ma, fidatevi, ne abbiamo viste così tante in passato che siamo convinti che un monito in più non guasti, anzi. Elmetto e baionetta son pronti? Bene, ce ne sarà bisogno. Per quanto ci riguarda, faremo del nostro meglio nel raccontarvi il capitolo 115 della saga di questo eterno romanzo popolare a tinte gialloblù. Buon campionato da THV.
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