La classifica? Luce per gli occhi, ma nel timore di abbagli non la guardiamo nemmeno. Altro ci preme. Cosa ben più significativa, in tre giorni il Verona ha mostrato di che pasta è fatto. Ha indossato due abiti, frac il sabato e salopette consunta il martedì. Ha fatto un figurone in entrambi i casi. A Crotone, ostica trasferta sul campo di una delle candidate alla risalita, ha subito preso in mano il comando delle operazioni e impresso la propria autorevole griffe. Squadra in controllo per 89 minuti (la perfezione non esiste). Tre giorni e al Bentegodi saliva lo Spezia, altra squadra che nutre più di un’ambizione. È cambiato lo spartito: il Verona ha fatto sì la partita, ma ha dovuto sudarsela e faticare molto molto per rompere gli argini eretti da quel rognoso di Marino. Colpito in contropiede, è andato addirittura sotto, ma si è rialzato subito; nella ripresa ha affondato il morso letale nell’unica vera accelerazione verticale della serata. La sequenza dello scacco matto partita dal motore di Desmo-Crescenzi, proseguita abilmente da Matos, e finalizzata dal tocco vincente di Zaccagni, è stata da applausi. 

Morale? La squadra è portata sviluppare trame di palleggio e offrire un buon calcio: quando lo può fare, è un piacere vederla distendersi in scioltezza. Pare quasi si diverta, tanto è tranquilla e padrona di sé. Siccome la serie B è ben altro, quando serve non è affatto un problema indossare la tuta operaia, maneggiare chiavi e bulloni, e sporcarsi le mani di unto in un saggio d'umiltà. Contro lo Spezia il maggior merito del Verona, è stata la pazienza. Ha insistito a tessere la tela nella convinzione che prima o poi, il momento propizio sarebbe arrivato. Lo stesso fece Penelope quando in casa aveva quei farabutti dei Proci che gliene combinavano di tutti colori. Alla fine arrivò Ulisse, e quei diavoli dei Proci li mise apposto lui.  

I piagnistei di Pasquale Marino a fine gara non ci sono piaciuti (non è una novità). Avrà lo Spezia (ottima squadra, va detto) avuto le sue occasioni (in contropiede), ma nel complesso i liguri hanno badato solo a difendere e non concedere nulla al loro avversario, che almeno a far gioco ci ha provato dal primo all’ultimo minuto. Quel poco di buono che si è visto, lo si deve al Verona e non certo a chi ha parcheggiato due pullman davanti alla propria area di rigore. Ora si va a Salerno, dove ci attende il girone dantesco dell’Arechi. Vecchie storie. Bei ricordi, almeno per noi. Il copione è già scritto: anche a Salerno Fabio Grosso va per imporre il marchio e giocarsi la posta piena. Non sparagna questo Verona. Non è nelle sue corde. Per ora. 

Suggeriamo piedi per terra e profilo basso. Verranno infatti le difficoltà e con queste opache settimane di scarsa brillantezza. È fisiologico in un campionato di serie B. Due anni fa, il Verona di Pecchia partì a spron battuto: stupiva e impartiva lezioni di calcio ovunque. Piaceva pure quando perdeva, come successe in inferiorità numerica a Benevento. Poi, quando sembrava imbattibile, crollò in casa col Novara e tre giorni dopo a Cittadella. Beccò nove ceffoni in 180 minuti. Cambiò tutto, ricordate? Sì che lo ricordate...La squadra perse certezze e autostima. Entrò in crisi d’identità, stentò non poco a ritrovarsi. Affrontò giorni durissimi a gennaio e febbraio, ma fu proprio allora che capì di dover cambiare pelle e farsi un po’ più bruttina e altrettanto più solida. Così trovò la forza di riprendersi e riuscì a centrare l’obiettivo sia pur soffrendo. 

Non ci auguriamo ovviamente cha quella storia si ripeta. Speriamo tutti che il Verona possa proseguire la sua attraversata a vele spiegate in acque chete. Ma siamo solo all’inizio e nei momenti avversi, se verranno, sarà bene ricordarsi e far tesoro del recente passato. Fissato come comune denominatore il buon calcio targato 4-3-3, quella era una squadra molto forte costruita su tre capisaldi: Bessa, Romulo, e Pazzini. Questa, secondo noi lo è ancor di più: rosa ampia, qualità ovunque, titolari e alternative (non semplici rincalzi) in ciascuno dei reparti. Ribadiamo quanto scritto in estate: la coperta che D’Amico ha messo a disposizione del suo amico Grosso è lunga. Se giochi da agosto a maggio, a volte ogni tre giorni, poter ruotare le pedine attingendo da un buon mazzo fa la differenza. 

Va sottolineato anche come la qualità senza il supporto degli attributi valga nulla. In tre giorni il Verona ha dimostrato il teorema. Se la vittoria di Crotone è stata un sabato pomeriggio al parco in una giornata di sole, quella sullo Spezia è il ritratto di un grigio giorno feriale alla catena di montaggio. A seconda delle situazioni, saper fare entrambe le cose è vitale. Vanno a braccetto. Belli, ma non ad ogni costo. Se serve bisogna saper esser anche altro. Dopo le sciagure dello scorso anno, vincere conta più dell'estetica. «Il secondo è il primo dei perdenti» disse il Drake, uno che se ne intendeva. Questo Verona pare aver capito come si fa. Lo tenga bene a mente da qui a maggio, a partire da sabato pomeriggio a Salerno. Avanti i blu.

Sezione: Editoriale / Data: Gio 27 settembre 2018 alle 17:30
Autore: Lorenzo Fabiano
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