Sono tornato a casa volando. Anche se ero a piedi. Volando, letteralmente volando. Dal Bentegodi a Porta Palio ho rivisto nella mia testa tutta la partita. Da Castelvecchio in poi ho cominciato a incrociare gli sguardi della gente e ho notato che tutti avevano occhi per la mia sciarpa giallo-blu. Mi guardavano e sorridevano. O, per lo meno, ho avuto la netta impressione che sorridessero. Mi sentivo leggero. In quel momento io ero il Verona. Leggero, a testa alta. Io avevo vinto due partite di fila. Anche se, come sempre, i punti li fanno (o non li fanno…) i giocatori in campo. Volando ho imboccato via Mazzini e ho capito una cosa fondamentale: nella mia personalissima classifica delle partite da vincere, quella col Chievo è al ventisettesimo posto. Sento di più l’Avellino. Non lo dico con disprezzo, anzi. Quella con il Chievo è una gara che vale tre punti. Senza retorica ma pensando proprio al fatto che quello che serviva è arrivato. Dovevamo vincere uno dei match segnati nella lista dei desideri che ognuno di noi si è fatto da qui alla fine. Del tipo… pareggio con l’Atalanta, sconfitta a SanSiro, vittoria a Benevento e vittoria col Cagliari. E così via.

L’importante è che la signora a davanti a me non si tolga mai più il cappello che porta fortuna. Queste sono le cose che contano. L’importante è non perdere il centesimo che ho trovato vicino alla stazione mentre andavo al Tempio. Perché soldo trovato è soldo fortunato. L’importante è che non perda la testa. Perché sono sulla buona strada. E perché sto già cominciando a pensare di mollare tutto e andare a Benevento.  Perché queste sono quelle serate in cui torni a casa volando e ti trovi a ponte del  Popolo quando casa tua è da tutt’altra parte. Restiamo in Serie A, però nessuno ci crede.

Sezione: Copertina / Data: Lun 12 marzo 2018 alle 09:15 / Fonte: L'Arena
Autore: Anna Vuerich
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