C’è chi ha incontrato subito la gloria e chi, invece, prima si è dovuto piegare al dolore. Quello del debutto è sempre un giorno speciale, il momento in cui il re viene incoronato e il popolo adorante assiste alla scena. Se qualcosa va storto, logico che ci sia qualche mugugno. Oggi tocca a Cristiano Ronaldo, ieri è toccato a Sivori, Platini, Zico, Maradona, Ronaldo il Fenomeno. Numeri uno alle prese con il campionato di Serie A. Com’è andata la loro entrata sul palcoscenico? Sono inciampati o hanno raccolto l’ovazione della gente?
LA DELUSIONE DI MARASSI L’8 settembre 1957, nella Juve guidata dal giovanissimo Umberto Agnelli, debuttavano John Charles e Omar Sivori. Avversario il Verona. In teoria, una sfida facile. Ma quella squadra, che il Dottore aveva completamente rivoluzionato sul mercato e le si doveva quindi concedere un normale periodo di rodaggio, non aveva ancora assimilato le idee dell’allenatore jugoslavo Brocic. Fatto sta che quel debutto, per il quale si era addirittura mossa una troupe della BBC che voleva seguire il grande Charles, risultò alquanto faticoso. La Juve vinse 32, segnarono Boniperti, Sivori e Charles, e il giorno successivo sulle pagine di «Stampa Sera» Vittorio Pozzo scrisse che il risultato poteva avere una doppia interpretazione: bene se si guardava a ciò che aveva combinato il Trio Magico, male se si pensava ai buchi della retroguardia. Andò peggio venticinque anni più tardi, il 12 settembre 1982, quando nella Juve che schierava cinque eroi italiani del Mundial (Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea e Paolo Rossi; Tardelli era out) esordiva Michel Platini. Trasferta a Marassi contro la Samp. Una partita teoricamente semplice. Quel giorno il presidente della Repubblica Sandro Pertini andò a Monza a vedere il Gran Premio: vinse Arnoux su Renault. Il presidente, dalla radio, apprese la clamorosa notizia: la Juventus aveva perso contro la Samp. Gol del difensore Ferroni. Incredibile. A Pertini dispiacque moltissimo per il suo amico Zoff. Negli spogliatoi di Marassi successe il finimondo. Furino, simbolo del calcio tutto sudore e fatica, tuonò contro i compagni che, a suo avviso, si erano poco impegnati. Gli fece eco l’allenatore Trapattoni. Platini, non ancora completamente inserito nei meccanismi della polemica italiana, con furbizia dribblò le domande e si limitò a dire: «Ha vinto la squadra che si è difesa e ha perso la squadra che ha attaccato. Questo è il calcio». A Platini tutti i commentatori rifilarono un 5,5 in pagella.
IL RE NUDO Sempre a Marassi, l’11 settembre 1983, la gente si stropicciò gli occhi alla vista di un autentico mago del pallone: Artur Antunes Coimbra, in arte Zico. Il brasiliano trascinò l’Udinese al successo contro il Genoa. E non fu un successo qualsiasi, ma un 50 che Zico impreziosì con una doppietta e che, soprattutto, dette un’impressionante dimostrazione di forza. In quella prima giornata, in Serie A, si segnarono 33 gol e, mentre gli italiani si interrogavano sul destino delle loro pensioni (anche allora accadeva...), potevano godersi quello che tutti definivano «il campionato più bello del mondo». Il portiere del Genoa Silvano Martina confessò che il brasiliano, a fine partita, andò a chiedergli scusa. «E di che cosa?» replicò Martina. Zico gli sorrise e non aggiunse altro. Nell’estate del 1984 il Napoli si assicurò Diego Armando Maradona. Il presidente Ferlaino sognava in grande, volava alto, troppo alto, e a riportarlo in terra ci pensò il Verona di Osvaldo Bagnoli detto Schopenhauer. Maradona esordì al Bentegodi il 16 settembre 1984 e furono subito lacrime. Bagnoli, tanto timido quanto furbo, gli piazzò alle costole quel marcantonio di Briegel. «Non farlo giocare» questo fu l’ordine. E il tedescone obbedì. Anzi: fece di più, perché al termine di una magnifica azione andò pure a segnare il gol dell’ 10. Poi il Verona raddoppiò con Galderisi e nel secondo tempo a nulla servì la rete di Daniel Bertoni. Fu Di Gennaro, a un quarto d’ora dalla fine, a sigillare il 31. Maradona uscì dal campo con gli occhi tristi e la sensazione che il calcio in Italia era uno sport per duri: aveva le gambe ammaccate, le caviglie gonfie e un dolore terribile al ginocchio sinistro. Il Corriere della Sera, il giorno dopo, titolò: «Maradona, il re è già nudo». Annibale Frossi, spiegando tatticamente la partita, sintetizzò: «Troppo piccolo l’argentino di fronte al colosso tedesco». I muscoli avevano sconfitto la fantasia.
SORPRESA RECOBA Il giorno del debutto di Ronaldo il Fenomeno con la maglia dell’Inter fu una domenica particolare. 31 agosto 1997, dalla mattina non si parlava che della morte di Lady Diana. Enzo Biagi, sulla prima pagina del Corriere della Sera, la descrisse così: «Se n’è andata Diana, quella moglie non amata, una brava signorina di buona famiglia, che forse aspirava, più che ad alloggiare nel castello di Windsor, a una pacata esistenza da moglie benestante». E mentre le parole di cordoglio si sprecavano e persino il Principe Carlo si scioglieva in lacrime, a San Siro scendevano in campo Inter e Brescia per la prima di campionato. In tribuna il presidente Moratti aveva occhi solo per il suo gioiello, Ronaldo, ma a regalargli la gioia fu un altro ragazzo, Alvaro Recoba, anche lui al debutto, appena arrivato dall’Uruguay. Entrò in campo al posto di Ganz, ribaltò il risultato con due magìe, incassò i complimenti dei compagni e del presidente, e si concesse un pacchetto di patatine come premiopartita. Ti aspetti uno, arriva l’altro: è l’imprevedibilità a fare bello il calcio.
Autore: Anna Vuerich
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