Cresciuto nella Lazio, dove ha fatto l’intera trafila del Settore Giovanile biancoceleste, Alessandro Manetti ha raggiunto il sogno della Prima squadra, senza tuttavia assaporare la gioia dell’esordio in campionato. «Ero uno dei giovani più promettenti - ricorda - ma quelli erano anni nei quali era molto difficile per un giovane farsi largo. Le rose erano ridotte e gli allenatori erano meno propensi di oggi a dare spazio a giocatori appena usciti dalla Primavera. In quella squadra, poi, c’era gente come Ruben Sosa o Troglio, per cui trovare spazio non era cosa semplice. Ebbi, però, la fortuna di esordire in Coppa Italia, in una gara contro il Bologna. Poi, come succedeva spesso allora, venni mandato come tanti altri in serie C, a “farmi le ossa”». Ecco quindi le esperienze con le maglie di Mantova e Acireale per poi arrivare a Verona. Probabilmente l’esperienza più importante della sua carriera professionistica. «Senza dubbio - conferma - sono stati sei anni pieni di soddisfazioni. Un periodo della mia vita da calciatore che ricordo sempre con molto piacere, dove sono stato molto bene, sia dentro che fuori dal campo». Centrocampista dal fisico esile ma dotato di un sinistro di comprovata bellezza ed efficacia, con la maglia dell’Hellas ha collezionato 171 presenze impreziosite da 8 gol con in mezzo due promozioni in serie A. La prima con Attilio Perotti, la seconda con Cesare Prandelli. “Anche se - puntualizza - nella seconda diedi il mio contributo solo nella prima parte della stagione perché nel mercato di gennaio passai al Genoa, su richiesta di mister Gigi Cagni che mi aveva allenato proprio a Verona».
In quel Verona c’era anche un certo Marco Baroni che tornato quest’anno in riva all’Adige sta compiendo una piccola impresa nel condurre la squadra all’ennesima sofferta salvezza. «Marco sta facendo un piccolo miracolo - prosegue - dopo che a gennaio gli hanno letteralmente rivoluzionato la squadra. È stato capace di trasmettere la sua impronta di calcio e ora può giocarsi le sue carte fino alla fine. Da giocatore era più taciturno ora, anche per il ruolo che ricopre, l’ho trovato più loquace. Lo ritengo un ottimo allenatore. Dovesse andare male lui sarebbe l’ultimo al quale addossare qualche responsabilità. Come vedo la lotta salvezza? Data oramai per spacciata la Salernitana, tutto si riduce agli ultimi due posti. Vedo in seria difficoltà il Sassuolo. I neroverdi hanno sbagliato in alcune partite e, soprattutto, è un ambiente non abituato a lottare per non retrocedere. Non c’è pressione da parte del pubblico che in certe situazioni, invece, può essere l’arma in più per dare forza e stimoli ai giocatori che vanno in campo. Per l’altro posto, invece, regna ancora molta incertezza, visti i tanti scontri diretti ancora da disputare».
LA SFIDA DELL’OLIMPICO
La partita di sabato sera mette di fronte due compagini in buona forma ma con obiettivi diametralmente opposti. «Si trovano di fronte due squadre in salute - è la sua analisi - in una partita che mi aspetto sicuramente combattuta. L’ambiente biancoceleste è ancora in subbuglio per l’addio di Sarri al quale era molto legato. Ora, però, è pronto a sostenere la squadra per spingerla alla qualificazione europea. La contestazione, invece, rimane nei confronti della società, visto il rapporto mai decollato con il presidente Lotito che secondo i tifosi ogni anno fa promesse che poi sistematicamente non vengono mantenute. Il Verona? Dopo la vittoria con l’Udinese ha fatto un deciso passo avanti. Ci sarà da lottare fino alla fine ma il mio auspicio è che l’Hellas possa rimanere in serie A».
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